Parte fondamentale del lavoro che la commissione europea sta svolgendo da diversi anni a questa parte in termini di sicurezza e privacy online, ma anche di giusta concorrenza tra grandi società, questo DMA è un documento veramente molto dettagliato, che getta le basi per il futuro delle big tech, in Europa e non solo.
La commissione europea è da tantissimo tempo in prima linea nella battaglia per la tutela di privacy, diritti degli utenti e in generale per la garanzia di un ambiente quanto più equo possibile, anche e soprattutto online.
Questo ha portato nel luglio del 2022 all’approvazione di un pacchetto di leggi noto come “Digital Service Package”, composto dal “Digital Service Act” (o DSA, già entrato in vigore nel secondo semestre del 2023) e proprio il DMA.
Proprio quest’ultimo, ancor più del DSA, sembra poter essere il vero gamechanger della strategia europea.
Questa legge, infatti, entrata ufficialmente in vigore il mese scorso, si pone l’obiettivo di regolare in maniera molto accurata l’operato dei cosiddetti “gatekeeper”, (termine con il quale il legislatore fa riferimento a quelle imprese da 7,5 miliardi di fatturato annuo, 45 milioni di utenti mensili e una posizione stabile sul mercato) i quali di fatto si sono resi una porta di accesso obbligata per i mercati digitali, e che adesso dovranno usare la massima trasparenza soprattutto per quel che concerne il trattamento dei dati degli utenti.
Non sorprende quindi che quelli attualmente designati dall’ente siano stati Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance, Meta e Microsoft, con ovviamente tutte le aziende satellite che controllano.
Ovviamente la definizione di gatekeeper è solo la punta di questo iceberg; vero core di questa manovra è da una parte stabilire cosa sia concesso o meno a queste imprese, ma soprattutto sancire obblighi ed eventuali pratiche soggette a sanzione.
Questo potrebbe essere a dir poco rivoluzionario: ovviamente con questo non intendiamo che fino ad ora non ci fosse un sistema di controllo, sanzione o limitazione alcuna all’operato di queste compagnie, ma basta veramente usare per poco tempo qualsiasi piattaforma appartenente alle aziende sopracitate per capire che si è di fronte ad una rete veramente fittissima di collegamenti, in cui i nostri dati viaggiano senza che ce ne possiamo rendere conto.
Proprio questo è quello che il DMA vuole evitare. E a leggere i tanti punti del programma, nasce veramente un moto di speranza per la nascita di un nuovo spazio digitale finalmente più sicuro e libero.
Tra tutti gli obblighi per le compagnie troviamo ad esempio di dover concedere la possibilità di scaricare applicazioni da store alternativi a quello preinstallato, ma soprattutto di rimuovere le app installate di fabbrica (i cosiddetti bloatware); o ancora una rinnovata facilità nel chiudere l’account di un social piuttosto che di un e-commerce.
Mentre tra le pratiche sanzionabili troviamo ad esempio il “self-preferencing“, ossia il privilegiare i servizi proprietari a scapito di quelli di terze parti (esempio casuale, Apple Music e Spotify); o ancora l’uso di termini e condizioni (sì, proprio quel papiro lunghissimo che nessuno legge) poco chiari.
Fin da subito questi provvedimenti sono stati presentati (e percepiti) come potenzialmente rivoluzionari per il settore che riguardano.
Non a caso le aziende non sono state particolarmente entusiaste di quanto deliberato.
Per loro, infatti, si tratta di un enorme scossone che li costringe a rimettere mano ad una parte piuttosto consistente delle loro piattaforme (o spesso interi sistemi operativi), e del loro stesso modello di business.
Per tutti gli utenti però è un passo importantissimo verso un uso più guidato (ma non per questo passibile di ignoranza) di servizi ormai “irrinunciabili”.
Ovviamente negli intenti del parlamento europeo si cela anche la volontà di riaprire almeno in parte la corsa per tutte quelle compagnie europee appunto che ad oggi si trovano a competere contro delle vere super potenze digitali, il cui potere è a dir poco sterminato nel settore.
Non ci resta pertanto che aspettare i resoconti periodici e, tra sei mesi, la relazione finale sull’andamento del processo di adeguamento; e magari per i più curiosi andare ad indagare personalmente i cambiamenti in seno alle piattaforme interessate.
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