Tra i tanti entusiasti (chi ne fa un uso prettamente ludico o chi riesce ad applicarlo al suo lavoro) ci sono ancora molti scettici, attenti alla privacy e ai distopici risvolti di questi strumenti.
La celebre piattaforma di OpenAI è di recente arrivata alla sua quarta versione, aggiornamento piuttosto sostanzioso, che ha introdotto la possibilità di interagire con il programma anche tramite foto, video ed audio.
Questo ovviamente apre a tantissime nuove possibilità, tanto per chi usa il servizio quanto per il bot stesso, che letteralmente si nutre degli input che riceve per continuare a crescere, e di fatto rispondere sempre più accuratamente.
Ciononostante, Sam Altman, CEO dell’azienda sviluppatrice del bot, ha già iniziato a parlare della nuova attesa versione, ma non come gli utenti si auspicano.
Da quando il governo italiano, ormai il 31 marzo, tramite la manovra del Garante per la privacy, ha bloccato per la prima volta il sito tramite cui usare il bot, sempre più governi hanno cominciato ad interrogarsi sulle effettive implicazioni che questi nuovi strumenti potrebbero comportare.
L’intervento italiano è stato a dir poco pionieristico, ed ha dato avvio ad uno studio su scala mondiale.
Per questo, dietro esplicita richiesta di più di mille esperti, Altman ha dichiarato di aver messo almeno momentaneamente in stand-by lo sviluppo dell’ultimo modello della sua creatura, proprio per consentire agli stati di studiare al meglio il fenomeno,e delle norme per regolarlo.
Nella già accesa contesa tra stati ed OpenAI, si sta poi inserendo, tanto per cambiare, l’eccentrico CEO di Tesla Elon Musk; il miliardario infatti, oltre ad essere primo firmatario della lettera rivolta ad Altman, da una parte paventa enormi rischi per l’umanità (racchiusi nel cosiddetto “scenario Terminator”) ma dall’altra deposita i documenti per creare X.Ai, la sua nuova società improntata sullo sviluppo di una nuova nuova, ennesima, intelligenza artificiale.
Ma anche i giganti della tecnologia non stanno a guardare: infatti, Google, con il suo “Bard” e Microsoft con l’introduzione proprio di ChatGPT all’interno di tutta la sua suite di strumenti, da una parte puntano a migliorare l’esperienza, ma dall’altra continuano a cercare di primeggiare l’uno sull’altro.
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