Uncanny Valley nelle esperienze di intelligenza artificiale

Uncanny Valley: da cosa deriva quella sensazione di disagio di fronte alle creazioni dell’AI?

Ormai siamo sempre più circondati da nostre copie, macchine che cercano di replicare il nostro comportamento, il nostro modo di parlare e di porsi con gli altri. Ciononostante, però, per quanto strumenti come l’AI o anche robot più o meno avanzati siano diffusi da parecchi anni, facciamo ancora fatica a lasciarci completamente andare nei loro confronti.

Ma perché questa reticenza? E soprattutto, cos’è quella sensazione di malessere di fronte a queste novità?

Uncanny Valley, quando nasce questo concetto?

Syroop - Uncanny valley

Al contrario di quanto si potrebbe pensare, magari fuorviati dal fatto che intelligenze artificiali e robot umanoidi sono ritrovati della più recente ingegneria, il concetto di “uncanny valley” viene teorizzato da Masahiro Mori, studioso di robotica giapponese, già negli anni ’70!

Syroop - Uncanny valley

Il nome inglese a dire il vero deriva dall’interpretazione che Jasia Reichardt diede nel 1978 alle osservazioni di Mori, e creò un rapidissimo collegamento con il concetto di “perturbante” analizzato di Jentsch e poi Freud.

L’uncanny valley è stata definita come quella risposta, tendenzialmente di repulsione, scatenata da un robot che si trovi a metà tra un’entità quasi umana ed una totalmente umana.

Di fatto, man mano che un robot umanoide si avvicina sempre di più alle effettive sembianze umane, aumenta l’empatia che gli umani riescono a provare. Purtroppo si raggiungerà sempre una soglia oltre la quale cessa l’empatia e comincia proprio quella sensazione di disagio che ci capita sempre più spesso di trovare di fronte, ad esempio, alle immagini create dall’IA.

Per quanto sappiamo e vediamo che queste ricalcano piuttosto fedelmente aspetto e movimenti degli uomini, ci sarà sempre un dettaglio discordante che finirà col turbarci.

Cosa comporta nell’interazione uomo-macchina?

Questi sentimenti di repulsione, o comunque di scarsa empatia, sono attualmente un enorme problema per il settore della robotica e dell’intelligenza artificiale.

Una delle prime conseguenze, infatti, è il rarefarsi delle interazioni. Se qualcosa che sulla carta è pensato per supportarci ed assisterci in realtà ci spaventa, siamo naturalmente meno spinti ad interagirci. Questo finirebbe col vanificare tutti gli sforzi effusi nella creazione di tale prodotto.

Per quanto, inoltre, questo sia un concetto riemerso solo di recente, quasi sicuramente ognuno di noi l’avrà senza dubbio sperimentato, senza sapere a cosa ricondurlo, già diversi anni fa.

È il caso, ad esempio, del massiccio uso della CGI che all’inizio degli anni 2000 è stato fatto nel cinema. Spesso cast interi sono stati riprodotti in computer grafica, con risultati non sempre ottimali.

Se ad esempio in Matrix l’ambientazione futuristica e distopica ha smorzato l’effetto “uncanny” durante la scena di lotta tra Neo e gli infiniti agenti Smith. Lo stesso non si può dire di film come “Final Fantasy” o peggio ancora “La leggenda di Beowulf”. Recensioni dell’epoca parlavano esplicitamente di alcuni spettatori messi a disagio, spiazzati, turbati appunto, dalla realizzazione di queste figure più umanoide che umane.

Syroop - IA - Uncanny valley

Come si stanno comportando gli ingegneri di conseguenza?

Syroop - IA - Uncanny valley

Per un prodotto pensato per interagire con l’uomo, per piacergli e semplificargli la vita, la mancanza di interazioni è quanto meno disastrosa.

Per le IA, infatti, interloquire con i propri utenti è letteralmente vitale, in quanto è proprio da essi (oltre che da internet), che continua costantemente ad imparare, e quindi evolversi.

Si innescherebbe di conseguenza un circolo vizioso per cui gli uomini non si sentono a proprio agio con le macchine, le macchine non si evolvono, e di conseguenza vengono usate meno perché non più “scaltre” come una volta.

Viene quindi da chiedersi perché, piuttosto che mantenere il volto meccanico i team di sviluppo abbiano deciso di assegnargli un volto umanoide. Probabilmente la risposta è da cercare nella costante voglia di sperimentare dell’uomo.

Senza gli innumerevoli tentativi passati, infatti, sarebbe impossibile adesso immaginare un robot dalle verosimili fattezze umane. Per quanto ancora spesso questi esperimenti rimangano turbanti, stanno nascendo anche i primi corsi appositi, interamente focalizzati sullo studio di UI ed UX, per dare letteralmente nuovi volti a queste entità sempre più senzienti.

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