Ammettiamolo, Twitter è da sempre un social piuttosto anomalo, tanto nell’odierno panorama del web quanto al lancio.
Annoverato tra le prime piattaforme diffuse su così larga scala, da sempre ha dato molto più spazio alla parola che ad altri tipi di contenuto; l’originario limite dei 140 caratteri (poi alzato a 280) è una di quelle nozioni di cultura moderna diffuse in tutto il mondo.
Ma Twitter è più di un semplice recipiente per i pensieri di chi abbia voglia di riversarceli. E’ stata presto chiara la potenza di un simile strumento, anche e soprattutto se usato come mezzo di informazione.
Fino a neanche un anno fa, quindi prima che Musk mettesse definitivamente le mani sul social dei cinguettii, la spunta blu era niente più che un “certificato di autenticità”: permetteva quindi, agli utenti, di rendersi conto se quello che stavamo leggendo venisse da account più o meno attendibili.
Altrettanto presto però, il senso di quella manciata di pixel blu è stato frainteso. Un fraintendimento che purtroppo non ha tratto in inganno solo gli utenti, ma ha di fatto gettato le basi per un sistema di riconoscimento sociale piuttosto sconclusionato.
La spunta blu infatti (poi adottata da praticamente ogni altro social) da strumento per la certificazione dei contenuti, è stata reinterpretata come una dichiarazione di popolarità.
Per quanto, infatti, è vero che dietro all’informazione si celino spesso persone note, è altrettanto vero che, in un periodo estremamente attento alle dinamiche sociali come questo, dare risalto ad alcuni personaggi dall’atteggiamento controverso, solo in virtù della loro popolarità, potrebbe essere controproducente.
Viene da chiedersi a questo punto se ci siano mai stati particolari criteri per l’assegnazione di questa spunta, e la risposta è…no. Proprio questo il motivo per cui, al fianco magari di grandi esponenti di stato, era possibile trovare influencer di questo o quel settore.
A bilanciare però c’era un più stringente sistema di valutazione dei contenuti; soprattutto di recente, con il crescere della sensibilità verso i diritti delle minoranze, sempre più account sono (o per meglio dire, erano…) stati bannati permanentemente.
È ormai storia nota l’acquisizione di Twitter da parte del magnate più strambo degli ultimi anni.
L’azienda sapeva che l’avvento di Musk avrebbe agitato parecchio le acque, ma non poteva immaginare tutto ciò cui sarebbe andata incontro.
Quello che in tanti potevano prendere come un segnale di cambiamento, in realtà è stato l’inizio di un lungo tumulto.
Invece di rivedere le regole di assegnazione, infatti, Musk ha dato semplicemente a tutti la possibilità di accedere a questo status symbol, con una formula sempre più in voga…l’abbonamento.
Pagando una somma simile a quella richiesta per i più comuni servizi di streaming, si avrà accesso ad alcune funzioni inedite sul social.
Sebbene alcune potrebbero sembrare particolarmente interessanti (come la possibilità di caricare video più lunghi e dalla risoluzione più alta, o anche il limite di caratteri alzato a 10.000), dall’altra ad attirare particolarmente l’attenzione è stato proprio l’aggiornamento delle condizioni per il “verificato”.
Al contrario di quanto dichiarato dall’azienda, infatti, con questa nuova policy di fatto tutti hanno la possibilità di spargere voci ed informazioni tutt’altro che fondate, dandogli anche una certa autorevolezza. Come se non bastasse, è stato amplificato il sistema che spinge in alto tweet e commenti degli utenti “verificati”, contribuendo a minare la già precaria salute dell’informazione in molti stati.
Unica nota degna di merito, ma dall’apporto veramente limitato, è la “moltiplicazione delle spunte”; adesso infatti possiamo trovare la spunta dorata per le aziende, e quella grigia per gli enti governativi.
L’impatto di tale scellerata politica di controllo è stato palese ed immediato. Come se già l’amnistia concessa da Musk non avesse creato abbastanza problemi, il sempre più esiguo team di Twitter si trova spesso alle prese con incidenti e malfunzionamenti non particolarmente gradevoli.
Tanto è bastato per infiammare immediatamente l’indice generale Dow Jones, che ha perso in una manciata di minuti 85 punti, e gettare nel panico centinaia di migliaia di americani. Il tutto per una foto falsa condivisa da un account chiamato “Bloomberg Feed” e dotato di spunta blu, ma che solo dopo si è scoperto non essere collegato al noto broadcaster.
Viene da chiedersi quindi se la nuova direzione, di fronte ad avvenimenti come questo, abbia vagliato l’ipotesi di tornare sui suoi passi, ma visto l’operato attuato da Musk in questa ed altre aziende da lui controllate, risulta piuttosto difficile da credere.
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