Del resto, è un qualcosa di completamente diverso rispetto a quanto siamo soliti vedere sulle nostre tavole, giusto?
Beh, non esattamente, e proprio secondo i produttori è arrivato il momento che sempre più persone lo capiscano. Per questo hanno innescato una serie di cambiamenti radicali nelle loro strategie comunicative.
Quella della carne coltivata (o per meglio dire “a base cellulare”) e in generale dei prodotti sostitutivi della carne tradizionale, è un campo di ricerca piuttosto recente, spinto in parte da ragioni etiche e in parte ecologiche.
Sebbene le prime teorie a riguardo risalgano addirittura a Winston Churchill, con i primi esperimenti che risalgono agli anni ‘70 e ‘90, i primi grandi impulsi di sviluppo si ebbero circa dieci anni dopo, quando si cominciò ad avere a disposizione strumenti e conoscenze tali che la resero possibile senza grande sforzo.
Solo nel 2013 però il primo hamburger venne mangiato a scopo dimostrativo. Quello è stato il primo di una lunghissima serie di passi che ci hanno portato ad oggi, momento in cui mangiare carne coltivata è possibile in tantissime parti del mondo.
Per rendere possibile questa realtà è stata fondamentale l’opera di alcune aziende pioniere, che credendo fin da subito in questa idea, hanno fatto ingenti investimenti.
L’accoglienza però non è sempre stata delle migliori; sebbene infatti le legislazioni di molti paesi progressisti si sono aperte all’uso, alla produzione e allo sviluppo di questo settore, fin troppi (tra cui l’Italia) sono ancora contrari, spesso per mere questioni ideologiche.
Nonostante un’accoglienza non sempre calorosa, questi brand hanno proseguito spediti per la loro strada, portando avanti la prima fase di quella che solo successivamente sarebbe stata manifestata come una più grande strategia comunicativa.
Da praticamente sempre, infatti, l’immaginario collettivo tende ad associare alla carne (pertanto alla sua commercializzazione e ai suoi prodotti) il colore rosso, e in generale frasi e slogan che rimandano all’ideale delle grandi grigliate con gli amici, in pieno stile americano.
In totale contrapposizione a questo canone, tutti i principali marchi hanno cominciato la loro avventura commerciale presentandosi con una visual identity palesemente ispirata al mondo vegetale, nei colori, nei layout e nello spazio che in essi dedicavano alle informazioni principali.
A giudicare dal successo che hanno avuto, soprattutto all’interno di quella popolazione già convertita ad una dieta vegetale o comunque sensibile alle tematiche ambientali, la strategia sembra aver funzionato alla grande.
Conquistato il pubblico più facile, era il turno dello zoccolo più duro, tutte quelle persone ancora scettiche sulla validità di questi prodotti.
Per questo negli ultimi tempi “Impossible Foods”, uno dei principali player di questo mercato (leader nella produzione di carne d’origine vegetale, quindi non “coltivata” ma comunque pensata come alternativa alla carne tradizionale), ha lanciato un massiccio rebranding, volto a stravolgere radicalmente la comunicazione ma soprattutto il target dei loro prodotti.
Da colori tenui, come il verde ed il giallo (universalmente riconosciuti come tipici di un’alimentazione non carnivora) si è passati ora al rosso e alle sue sfumature (tra l’altro accuratamente riprese dai livelli di cottura della carne).
Il risultato è a dir poco d’impatto, e si farebbe fatica, scorrendo freneticamente tra gli scaffali, a distinguere uno dei loro hamburger di carne sintetica da uno più tradizionale, e proprio questo era il loro scopo: non tanto uniformarsi agli altri, quando far sì che le persone comincino a percepirli come un’alternativa più che valida.
Quasi sicuramente tutti gli altri marchi saranno costretti ad abbracciare questa strategia, per tenere il passo con “Impossible Foods”, che ha avuto il coraggio di osare.
Staremo a vedere se questo segnerà veramente finalmente un’inversione di rotta e se finalmente ancora più persone abbracceranno una nuova dieta, meno dannosa per sé stessi ma soprattutto per l’ambiente.
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