Questo concetto, apparentemente innocuo, nasconde in realtà uno dei più grandi inganni di questo ventennio.
Nati con la promessa di avvicinare come non mai le persone, i social sono stati complici di un galoppante sgretolamento dei rapporti, che ha afflitto prettamente la fascia più giovane della popolazione che vi ha accesso quotidianamente.
Il primo a parlare in questi termini è stato, ormai più di dieci anni fa, l’attivista digitale Eli Pariser.
Nel suo libro del 2011 “The Filter Bubble. What the Internet Is Hiding From You”, l’autore espone tutte le sue perplessità circa un fenomeno che di lì a pochi anni avrebbe cominciato a palesarsi in tutta la sua pericolosità.
Con “bolla di filtraggio” infatti si intende quel sistema che, tenendo traccia della nostra attività online, contribuisce a crearci intorno (a mo’ di bolla appunto) un ambiente piuttosto chiuso, pensato per mostrarci contenuti sempre piuttosto affini tra loro, ma soprattutto estremamente aderenti ai nostri interessi.
Questo di per sé non sarebbe un problema troppo grave (alla fine per esempio le stesse metodologie di marketing più recente sono basate sull’attenta profilazione del tuo pubblico), se non avesse nel tempo creato le condizioni per una società sempre meno propensa al dialogo, sempre meno aperta alle opinioni altrui, ma soprattutto sempre più convinta di essere costantemente nella ragione.
Inutile girarci intorno: la causa principale di questa situazione sono proprio i social ed il loro funzionamento.
Pochi altri sono gli ambienti in cui siamo così esposti alle opinioni di così tante persone diverse.
Di fatto ogni giorno ci lasciamo bombardare dai contenuti che ci compaiono nel feed, senza troppo pensare al meccanismo che vi si cela dietro.
Proprio quegli algoritmi di cui abbiamo più volte parlato contribuiscono a questo circolo vizioso apparentemente inarrestabile.
Certo, nessuno pensa (né tantomeno gridare al complotto) che i social siano nati con lo scopo di distanziare le persone e renderle sempre meno avvezze al confronto, ma purtroppo è quello che da anni si sta verificando.
Ciò che è peggio è che, per quanto tutti ormai siano al corrente di questa pericolosissima situazione, quasi nessuno sembra avere particolare intenzione di fare qualcosa per risolverla.
Sebbene gli effetti ci abbiamo messo un po’ a manifestarsi, la situazione comincia ad essere piuttosto seria.
In un periodo come questo, infatti, in cui l’informazione è di per sé già molto polarizzata, un fenomeno di questa portata rischia di avere conseguenze molto gravi.
Proprio per questo la generazione della cosiddetta “infosfera” è ormai pesantemente compromessa; il risultato sono persone convinte che il loro sia l’unico sapere possibile, reticenti al dialogo, asserragliati nelle loro convinzioni (che vengono costantemente alimentate).
E a farne le spese sono proprio le persone più deboli; da una parte, infatti, i social costituiscono un enorme problema sociale per i giovani, sia perché costantemente esposti al pericolo del bullismo (e in generale quasi completamente assorbiti da queste piattaforme) sia proprio per questo fenomeno, che li allontana ancora di più da un dibattito sensato sul mondo che li circonda; mentre dall’altra anche i più adulti ( soprattutto coloro che per qualsivoglia motivo non hanno potuto contare su una formazione molto avanzata) non sono esentati dal rischio di cadere in questa bolla.
Dopo tanti anni di silenzio però, arrivano i primi segnali di lotta: in Europa, infatti, proprio il DMA (il Digital Market Act di cui si è parlato pochi giorni fa) potrebbe essere il primo provvedimento che cerca di porre un freno a questa dinamica a dir poco pericolosa per la nostra società; mentre in America, per la precisione in Florida, è arrivata di recente la prima legge che ufficialmente vieta l’utilizzo dei social ai minori di 14 anni.
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